Il Messaggero

Il ragazzo che sognava di servire Dio

Prima di essere eletto Papa col nome di Leone XIV, Robert “Bob” Prevost era un ragazzo americano cresciuto in una famiglia profondamente cattolica. I suoi genitori, devoti ma anche molto umani, gli trasmisero valori forti, e già da bambino Bob mostrava inclinazioni spirituali fuori dal comune. Una vicina di casa gli disse che un giorno sarebbe diventato il primo papa americano: lo diceva con affetto, ma forse anche con un’intuizione speciale. Dopo la terza media, Bob lasciò il suo piccolo mondo per entrare nel seminario di St. Augustine, in Michigan, un collegio per giovani che volevano esplorare la vocazione sacerdotale.

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I dubbi, la matematica e l’amore per Agostino

Nonostante la vocazione precoce, Bob attraversò anche momenti di esitazione. Durante l’adolescenza confessò al padre il desiderio di avere una vita “normale”, sposarsi, avere dei figli. Ma fu proprio il padre a offrirgli una risposta profonda, sottolineando l’importanza dell’intimità con Dio, paragonabile a quella tra marito e moglie. Quella conversazione fu decisiva. Da studente, Bob era brillante: amava la matematica, studiava latino ed ebraico, leggeva Sant’Agostino. Era riservato, riflessivo, ma chi gli stava accanto vedeva in lui un impegno profondo verso gli ultimi e un desiderio genuino di comprendere il mondo.

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L’esperienza in Perù e il coraggio di dire no

Una parte fondamentale della sua formazione avvenne in Perù, in anni difficili segnati da violenza politica e repressione militare. In un episodio emblematico, Prevost — allora ancora sacerdote — affrontò dei soldati armati che volevano reclutare con la forza i seminaristi che viaggiavano con lui. Con calma, ma con fermezza, fece valere la legge per proteggere i suoi ragazzi. Quel gesto divenne simbolo della sua leadership pastorale: decisa, radicata nella legalità, ma sempre guidata dalla compassione. Durante gli anni di crisi sotto il regime di Fujimori, Prevost prese parte a manifestazioni per la pace e organizzò eventi in memoria delle vittime di violenze politiche.

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Tra povertà vera e giustizia sociale

Anche nella vita quotidiana, Bob non si è mai lasciato sedurre dal potere o dal privilegio. In Perù viveva in una stanza modesta, tra libri, fotografie e una veste appesa al muro. Quando un confratello non poteva permettersi un paio di scarpe nuove in pieno inverno a Chicago, Prevost non esitò a dirgli: “Comprale e porta lo scontrino al superiore. Povertà non vuol dire miseria”. Un gesto semplice che dice molto della sua visione concreta della vita religiosa: umiltà, ma anche dignità. Nel tempo è diventato una figura rispettata tra gli Augustiniani, fino a guidare l’ordine a livello globale con uno sguardo aperto, sinodale e diplomatico.

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Un papa per il nostro tempo

Quando Papa Francesco lo richiamò dal Perù e poi lo nominò vescovo, forse già intravedeva in lui il potenziale per un futuro più grande. Leone XIV oggi si trova a guidare la Chiesa in un’epoca complessa, tra autoritarismi, crisi ambientali e diseguaglianze sociali. Il suo passato, però, racconta di un uomo che sa costruire ponti, affrontare l’ingiustizia e difendere i più deboli, anche quando sarebbe più comodo tacere. La sua elezione è stata accolta con sorpresa ma anche con speranza, soprattutto da chi crede che il futuro della Chiesa passi da umanità, ascolto e concretezza. Bob Prevost non è diventato Papa per caso. E oggi, il mondo sta iniziando a capire perché.

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