di Paolo Martini 

Per la sua poesia che evoca schegge memoriali rielaborando temi come l’isolamento e la solitudine, riletti attraverso le lenti dei classici greci e letture amate come quella di Dante Alighieri, la scrittrice statunitense Louise Glück, 77 anni, residente a Cambridge, nel Massachusetts, ha conquistato il Premio Nobel per la Letteratura, con cui l’Accademia Reale Svedese ha voluto ricompensare una “inconfondibile voce poetica, che con l’austera bellezza rende universale l’esistenza individuale”. Protagonista di una poesia tragica, dal forte retroterra autobiografico, alle spalle dell’autrice c’è un passato complesso e piuttosto tormentato, con crisi ripetute di anoressia e rapporti difficili con i familiari. 

L’infanzia e la vita familiare, lo stretto rapporto con genitori e fratelli, è una tematica che è sempre rimasta centrale per lei. Nelle sue poesie, il sé ascolta ciò che resta dei suoi sogni e delle sue delusioni, e nessuno può essere più duro di lei nell’affrontare le illusioni che l’avevano animata. Ma Glück non può essere considerata una ‘poetessa confessionale’. Glück cerca l’universale e in questo si ispira ai miti e ai motivi classici, presenti nella maggior parte delle sue opere. Le voci di Didone, Persefone ed Euridice – gli abbandonati, i puniti, i traditi – sono maschere di un sé in trasformazione, tanto personale quanto universalmente valido. 

Nata a New York il 22 aprile 1943 da genitori immigrati ebrei ungheresi, Louise Glück è cresciuta a Long Island. Durante la sua adolescenza ha sofferto di anoressia (vicenda oggetto anche di alcune sue poesie), tanto da costringerla ad abbandonare gli studi superiori alla George W. Hewlett High School e poi quelli universitari al Sarah Lawrence College e alla Columbia University di New York. Pur non ottenendo la laurea in gioventù, fin da ragazza si è dedicata allo studio della letteratura e a scrivere versi, formandosi alla scuola di un’altra poetessa newyorkese di fama, Leonie Adams (1899-1988).  

Pur avendo già pubblicato diverse raccolte di poesie, con l’esordio nel 1968 con “Firstborn”, Glück conquistò audience in patria e all’estero solo a partire da “The Triumph of Achilles” (1985) e “Ararat” (1990). Ha poi raggiunto una certa notorietà nel 1992, vincendo il Premio Pulitzer per la poesia con il volume “The Wild Iris” (1992; “L’iris selvatico”, tradotto in italiano dall’anglista Massimo Bacigalupo per la casa editrice Giano nel 2003). Con i versi di quella raccolta, Glück ha convinto i critici per lo stile controllato ed elegante con cui assorbe lunghe sequenze narrative dal tratto confessionale che ricordano la poesia di Robert Lowell, Sylvia Plath e Anne Sexton. 

Louise Glück ha pubblicato dodici raccolte di poesie e alcuni volumi di saggi sulla poesia, materia a cui peraltro ha dedicato una lunga attività di insegnamento all’Università di Yale, di cui è ora professoressa emerita. Nella raccolta “Meadowlands” (1997) rievoca figure mitiche come Ulisse e Penelope all’interno di una scrittura molto moderna, che racconta di un matrimonio che sta per finire.  

Il momento decisivo del cambiamento nella sua scrittura poetica è segnato dall’umorismo e dallo spirito pungente, come testimonia la raccolta “Vita Nova” (1999), con il titolo che richiama il grande classico di Dante Alighieri che celebra la nuova vita sotto le spoglie della sua musa Beatrice: celebrata in Glück è piuttosto la perdita di un amore che si è disintegrato. 

“Averno (2006; tradotta in italiano sempre da Massimo Bacigalupo per Dante & Descartes nel 2019) è una raccolta magistrale, un’interpretazione visionaria del mito della discesa di Persefone agli inferi nella prigionia di Ade, il dio della morte. Il titolo deriva dal cratere a ovest di Napoli che era considerato dagli antichi romani come l’ingresso agli inferi.  

Un’altra opera giudicata spettacolare è la sua ultima collezione “Faithful and Virtuous Night” (2014), per la quale Glück ha ricevuto il National Book Award. Il lettore è nuovamente colpito dalla presenza della voce e Glück si avvicina al motivo della morte con notevole grazia e leggerezza, scrivendo poesie oniriche e narrative che rievocano ricordi e viaggi, solo per esitare e fermarsi per nuove intuizioni. Nella sua visione, il mondo è devastato, solo per diventare di nuovo magicamente presente. 

Tra le sue raccolte figurano anche “A Village Life” (2009) e “The Seven Ages” (2001). Tra le opere di saggistica si ricorda “Proofs and Theories: Essays on Poetry” (1994). Membro del American Academy and Institute of Arts and Letters, tra i vari riconoscimenti è stata nominata ‘poeta laureato’ degli Stati Uniti dal 2003 al 2004 ed è stata insignita della National Humanities Medal (2015), del Los Angeles Times Book Prize Poetry (2012), del Golden Plate Award dell’American Academy of Achievement (2012), del L.L. Winship/Pen New England Award (2007) e del Bollingen Prize (2001). Ha vinto anche il Book Review’s Bingham Poetry Prize e The New Yorker’s Book Award in Poetry. Alcune sue poesie sono state pubblicate sulla rivista “Nuovi Argomenti” (Mondadori).