di Ilaria Floris 

“La didattica a distanza? Penso che sia il male minore, nel senso che è sicuramente meglio che non farla per niente: ma la scuola è coralità, stare insieme. E’ molto riduttivo guardarsi sui social, comunicare in streaming non è certamente il concetto di scuola così come la intendo io”. Ad affermarlo, in un’intervista con l’Adnkronos, è Roberto Vecchioni che analizza la situazione – e le difficoltà – dell’insegnamento in questo momento di pandemia. “Basta pensare a cosa facevano Socrate, Aristotele, che si portavano in giro i loro adepti sotto i colonnati -spiega Vecchioni- La scuola era quella. Camminando parlavano, erano in tanti, ognuno aveva un’idea e la diceva. Il confronto c’era. Adesso è una cosa robottistica, a quel punto basta Internet”. 

Intervistato in occasione dell’uscita del suo ultimo libro ‘Lezioni di volo e di atterraggio’ (ed. Einaudi), il professore della musica italiana racconta, in un viaggio letterario di 15 lezioni, di quando con i suoi alunni ci si dava appuntamento in un parco, ci si metteva sparsi – chi in piedi, chi sdraiato e chi in braccio a qualcun altro – e si partiva da un argomento per poi spaziare senza sapere dove arrivare. “E’ un libro nato per nostalgia -racconta Vecchioni- Erano tempi bellissimi, 35, 37 anni fa. I ragazzi partecipavano tantissimo, ed io ho continuato questa maniera di fare, sia nell’insegnamento, all’università, che ai concerti. Quando parto per argomenti, non finisco più, vado da una parte all’altra”. 

Il principio fondamentale “è che la cultura, il fatto di propagandare pensieri e idee non ha paratie stagne. Non c’è prima la matematica, poi l’inglese, poi il latino. E’ tutto insieme. Il discorso singolare si fa in classe: quello è l’atterraggio, e l’atterraggio si fa in classe”. Ma quando puoi, “da insegnante prendi i ragazzi e tenti di spiegare loro che sono uomini, e gli uomini hanno una visione totale delle cose che hanno intorno. Devono saper passare da un argomento all’altro trovando dei link. Tutto porta a tutto. Questo è il concetto dell’essere libero”. 

In genere la giornata ‘fuori scuola’ si svolgeva il lunedì, “la giornata migliore perché nessuno aveva voglia di andare a scuola e l’Inter in genere perdeva e dovevo sfogarmi -sorride Vecchioni -Si partiva da un argomento e si cominciava a discutere, si dibatteva, si combatteva, si cazzeggiava, anche. E passavano 5 ore così”. Era un momento amatissimo dai ragazzi. “Erano ragazzi curiosi, estroversi, bizzarri, erano anni di grande partecipazione. Si creava un panorama apertissimo con un orizzonte apertissimo su cui indagare”. 

Oggi, con il covid, tutto questo sarebbe possibile? “No, oggi non sarebbe possibile, ma nemmeno se non ci fosse il covid -è l’analisi del professore- La scuola è andata via via specializzandosi, ognuno sa tutto solo di una cosa. Questo invece è sapere abbastanza di molte cose. Anzi, non tanto il sapere, è intrigarsi delle cose. E’ dirsi: finché non capisco questa cosa, ci perdo la testa dietro. Oggi non è così per tanti motivi. Perché c’è competizione, la paura di essere inferiori, la paura dei voti, la fretta”. 

“Invece, la scuola come la intendevo io era la scuola greca, cioè divertimento, il pensiero libero. Cosa che poi è cambiata, ma allora lo era”. E’ davvero possibile o è un’utopia irrealizzabile? “E’ possibile farlo, si chiama pensiero laterale”, piega Vecchioni, che aggiunge: “Se vuoi provare il brivido di vivere devi cercare anche il rischio di tentare. Magari hai una probabilità su cento di farcela, a me è capitato tante volte, molte ho toppato, però poi quando arrivi….”. 

E per finire, Vecchioni da’ qualche consiglio ai ragazzi e agli insegnanti su come affrontare questo momento. “La cosa fondamentale è che quando si fa scuola stiano il più insieme possibile, anche se ora è una possibilità limitata -dice il professore- E poi, che ci siano anche dei messaggi continui di richiesta di delucidazioni, chiarezza, ripetizioni di qualcosa non capita. E anche un po’ di streaming su cazzate. Facciamoli! Servono anche quelli”. Infine, per l’autore di ‘Luci a San Siro’ e ‘Samarcanda’ la fiducia nei giovani è un marchio di fabbrica: “Io sono convinto che i ragazzi italiani abbiano una marcia in più: sanno uscire dalle avversità benissimo, e quello che perdono adesso lo recupereranno più in là’. Io li conosco, ne sono certo”, conclude.