Dal lockdown nella campagna inglese al “miracolo” della ripartenza veneziana. Cate Blanchett, presidente della giuria di Venezia 77, si mostra entusiasta “È un privilegio, un piacere e un grande onore essere qui oggi. Sembra quasi un miracolo”, dice pronunciando l’ultima parola in italiano. “Sono estremente emozionata di essere qui. Ho parlato negli ultimi sei mesi solo ai miei maiali e alle mie galline, quindi essere qui è un vero piacere”, aggiunge ridendo. Contenta di tornare ad un festival che riporta il cinema nelle sale, dopo mesi di lockdown: “Sono stata al cinema la settimana scorsa con la mia famiglia a vedere Tenet. Per il resto ho avuto il piacere dolceamaro di vedere i film a casa”, dice. 

“Aspettavo con ansia di poter venire qui – spiega l’attrice australiana due volte premio Oscar – sono pronta ad applaudire gli organizzatori del festival per la loro capacità inventiva, per la loro resilienza, per la loro capacità collaborativa. Sono pienamente d’accordo – aggiunge – sul fatto che si dovesse riaprire, in modo sicuro chiaramente. L’industria cinematografica, come tutte le industrie, ha avuto dei mesi difficilissimi ma deve sforzarsi di riemergere. Io sono qui prima di tutto per contribuire a questo, per sostenere e dare supporto ai cineasti, a chi si occupa di film, a chi ha dovuto affrontare difficoltà enormi per completare i propri film. Li applaudo per ciò che hanno fatto”.  

A chi le chieda se abbia paura per il futuro e paura anche di essere al Lido, Cate Blanchett risponde: “Ho tante paure ma dobbiamo essere coraggiosi, credo. Una volta che si parte con un progetto, in un momento di pandemia o meno, bisogna buttare via tutto il resto e rischiare, rischiare anche di fallire. Credo che il rischio sia nel nostra Dna e anche se l’industria farà fatica, riemergerà più forte di prima. Sono piena di speranze in questo senso, ci sono tante sfide da affrontare, a partire dalla monocultura dello streaming degli ultimi mesi, per arrivare alla riapertura dei cinema. C’è una discussione importante da fare e il festival è importante. La sfida non è solo per il film italiano, cecoslovacco, australiano, asiatico: è una sfida globale. Nel nostro riemergere abbiamo la possibilità di riesaminare le cose. Come le implicazioni che la tecnologica dello streaming avrà sul mondo del cinema. Ci sono tante opportunità per porci delle domande importanti in questo momento”. Quanto alle preoccupazioni della sua famiglia sulla sua trasferta in tempi di Covid, l’attrice risponde ridendo: “Mio marito ha accettato subito di darmi il suo placet, i miei figli un po’ meno”. 

A chi le fa notare che raramente chi ha fatto il presidente di giuria a Cannes, come è accaduto a lei, viene chiamato poi a presiedere la giuria veneziana, Cate Blanchett replica: “Questo è un festival diverso da quello di Cannes, è una edizione speciale”. Poi aggiunge: “Credo che ogni festival abbia le sue caratteristiche. È fantastico che festival che sono sempre stati in concorrenza tra di loro invece si siano accordati ed abbiano rinunciato a marcare il proprio territorio. È fantastico che ci siano qui presenti i presidente dei festival del resto d’Europa. Ci fa capire che sono semplicemente differenti facce della stessa pietra. Sarà un festival meno territoriale”.  

Inevitabile, all’attrice che nel film di Todd Haynes su Bob Dylan interpretava un uomo, la domande sui premi agli attori del festival di Berlino che saranno dall’anno prossimo gender neutral: “Non so – risponde lei – la mia non è una dichiarazione politica ma mi sono sempre definita attrice senza utilizzare un linguaggio gender specific. Uso la parola attore, perché credo che una buona performance sia buona sia che la faccia un uomo sia che la faccia una donna. La parte più difficile – dice la presidente della giuria che dovrà assegnare il Leone d’Oro – è giudicare il lavoro di qualcun altro”.  

Ma qualcosa di politico sulla gestione della pandemia l’attrice lo dice: “Durante il lockdown lo ‘zio’ economia sembrava essere la persona più importante della famiglia. E lo trovo abbastanza strano, devo dire. Che l’Organizzazione Mondiale della Sanità non sia stata messa a capo di questa sfida globale, per affrontarla in modo globale. Sono lezioni che non impariamo dagli esempi dolorosi. Lo stress incredibile che avete avuto in Italia non ha insegnato niente ad altri Paesi che hanno voluto imparare la lezione dolorosa a loro spese. È una cosa strana che ancora non capisco. Perché a volte ci comportiamo in modo così spezzettato e distruttivo”.