Un documentario sulla persona che c’è dietro alla pop star, tra fragilità, normalità e felicità. Un’ora e un quarto di film sincero e senza ritocchi che racconta Tiziano Ferro, senza ricorrere alla sua musica. Nel docu-film ‘Ferro’, che arriva su Amazon Prime il 6 novembre prodotto da Banijay Italia, Ferro fa entrare lo spettatore nei momenti che hanno segnato la sua vita privata: l’infanzia resa insicura dal bullismo (“i ragazzi mi chiamavano ciccione, femminuccia, sfigato”), la caduta dell’alcolismo arrivata insieme ai primi successi e dai cui ha avuto la capacità di sollevarsi, il coming out e il matrimonio con Victor, “l’altra metà della mela” con cui vive a Los Angeles una quotidianità semplice e lontana dagli obiettivi dei paparazzi.  

“Volevo che il messaggio prevalesse sull’estetica”, dice Tiziano raccontando la genesi del documentario. “Stavo scrivendo un libro sul mio percorso, poi sono arrivati gli amici di Amazon che pensavano ad una collaborazione protomusicale. Io li ho fermati e ho detto: ‘se facciamo questa cosa, dovete avere il coraggio di fare un documentario che non sia musicale’. Poi hanno capito cosa intendevo e hanno sposato il progetto”, spiega. Sulla grande sincerità e la rinuncia al glamour di ‘Ferro’, l’artista assicura: “Non ho niente contro l’effetto lustrino, l’ho fatto anche io in passato con dvd e show televisivi. E non sono contrario a quel tipo di progetto legato alla musica. Ma io volevo raccontare un’altra cosa questa volta. Non mi importava dell’estetica. E infatti quando vedo questo film non vi nego che sono ancora un po’ a disagio. Ho voluto usare anche delle immagini che non mi piacevano ma che raccontavano una storia”. 

Sul capitolo dell’alcolismo, affrontato e superato con la frequentazione (che prosegue tutt’oggi) di gruppi di alcolisti anonimi, confessa: “Sono stato molto diviso se raccontarlo. Perché in questo percorso l’anonimato è importante. Ma volevo parlarne perché condividere questa esperienza, di cui io non ho né vergogna né paura, poteva essere importante per altri. Negli anni, frequentando i gruppi di recupero a Roma e Milano, ogni tanto mi trovavo i paparazzi fuori. E pensavo: a me non dispiace parlare di questa cosa. Ma se questa cosa viene fuori così, si parla del problema e non della soluzione. E questo mi dava fastidio. Perché per questa cosa la soluzione esiste”, aggiunge, spiegando che la molla è scattata quando due frequentatori titubanti hanno deciso di continuare a frequentare gli incontri dopo aver visto lui. “Ora vivo in un posto dove tutti gli artisti si sobbarcano questo messaggio in maniera molto potente. Diventano testimonial della soluzione: è importante far capire che, nonostante uno si sia quasi ammazzato, riesce ad avere una vita felice e libera dall’ossessione dell’alcol”, insiste.  

Una parte del documentario è dedicata alla sua vita familiare con il marito Victor: “Lui davvero – ride Tiziano – non avrebbe voluto stare davanti allo schermo, soprattutto perché si è sempre occupato del marketing cinematografico ma stando dietro le quinte. Però ha accettato e l’ho presa come una ulteriore prova d’amore da parte sua. Amazon ci aveva chiesto di poter entrare un po’ in casa. E siccome l’ignoranza è la causa di tanti mali, credo che anche questo possa essere un contributo alla comprensione della normalità di una coppia omosessuale”. 

Nel doc anche le immagini del matrimonio e della festa italiana a Sabaudia con i parenti di Tiziano, girate da Gaetano Morbioli: “Chiaramente ho chiesto alla mia famiglia di poterle includere nel doc, anche perché ci volevano le liberatorie”, dice divertito.  

A chi gli chiede qual è la parola che lo ha ferito di più nella vita, Tiziano risponde guardando avanti: “Ci vorrebbero quattro ore. Ma in questa fase della vita quello che mi ferisce di più è la gente che si affanna a fare del male, in nome del nulla. Quello mi fa rabbia e mi addolora”.  

Sulla pandemia e i suoi effetti, Tiziano (che prosegue la sua collaborazione con il fondo per i lavoratori della musica, “ci sono 300.000 persone in difficoltà”) racconta: “Qui in America siamo chiusi da marzo. C’è stato un tentativo di riapertura a giugno ma dopo i dati terribili sono tornati indietro. Adesso sono tanti gli amici che sono positivi. Molti stanno bene: si fanno una settimana di influenza nella maggioranza dei casi. Io, a parte il senso di tristezza, ho cercato di trasformare questo momento in creatività. Abbiamo iniziato a registrare queste cover per divertimento, per amore, per passione. Poi quando abbiamo visto che c’era del materiale valido, ho chiesto alla mia casa discografica di farne un disco”, spiega.  

E infatti, nello stesso giorno del documentario, il 6 novembre, uscirà anche l’album ‘Accetto Miracoli: l’esperienza degli altri’, dove l’artista ha reinterpretato 13 brani di autori italiani a cui è particolarmente legato perché gli hanno dato forza e coraggio in momenti difficili.  

(di Antonella Nesi)