L’Italia, quando cominciava a infuriarle in casa lo tsunami Sars-CoV-2, lo aveva detto al mondo: “Queste polmoniti killer sono diverse dalle altre”. Era più o meno metà marzo, il 20 febbraio si era scoperto il paziente 1 e nelle settimane a seguire i malati cominciavano a travolgere gli ospedali, arrivando il più delle volte gravissimi in terapia intensiva. Morivano lasciando i medici impotenti di fronte a una malattia sconosciuta. E’ in quei giorni che gli specialisti dell’Irccs San Raffaele di Milano e dell’università Vita-Salute, che cercavano di decifrare in team multidisciplinare il rebus dell’attacco sferrato da Covid-19, si accorgono come altri di un aspetto particolare: un aumento di trombosi e complicanze trombotiche nei malati. “Abbiamo avvisato i colleghi a livello internazionale in vari modi, telefonate, webinar, confronti online”, racconta all’Adnkronos Salute Giovanni Landoni, professore che coordina l’attività di ricerca in anestesia e rianimazione nell’Irccs e nell’ateneo. “La domanda che ci si poneva era: da dove vengono queste trombosi?”. Come nascono le polmoniti killer? “Scoprirlo può aiutarci a migliorare le terapie”, evidenzia. Il sospetto c’era già allora e si è confermato oggi, dopo aver fatto centinaia di Tac ai pazienti più gravi, anche grazie alla possibilità di avere il macchinario a un passo da loro nella cosiddetta ‘Pallaria’, la terapia intensiva da campo nata grazie alla raccolta fondi lanciata dai ‘Ferragnez’, l’influencer Chiara Ferragni e il rapper Fedez. 

Tutto, scrivono dunque gli esperti in un lavoro scientifico ora pubblicato sul ‘Journal of Cardiothoracic and Vascular Anesthesia’, nasce proprio lì: nei polmoni dei malati, dove soffia la tempesta infiammatoria, una sindrome battezzata dai medici dell’Irccs (in un altro studio pubblicato ad aprile) ‘MicroClots’, che ha come target soprattutto l’endotelio, la parete interna dei vasi a livello polmonare, e come conseguenza comporta manifestazioni trombotiche in una percentuale significativa, che peggiorano il quadro. “Abbiamo scoperto e documentato che queste trombosi avvengono nei polmoni e si sovrappongono ai processi infiammatori, sono localizzate infatti proprio nelle aree di polmonite, quelle geograficamente infiammate. E sono uno sviluppo e un peggioramento della polmonite stessa”, riepiloga Landoni. 

Gli autori dello studio hanno visto segni di questo fenomeno in più della metà dei pazienti analizzati. “Nei primi giorni in cui ci siamo trovati davanti malati Covid – racconta Landoni – il pensiero è andato subito a un classico della medicina: le trombosi si formano di solito nelle vene degli arti inferiori, si staccano e in pochi secondi migrano fino ai polmoni dove danno tromboembolie pericolose e mortali. Si è ipotizzato questo: che i malati gravi di Covid coagulano tanto e rischiano di morire per tale processo. Ma era un’apparenza, e lo avremmo scoperto successivamente intensificando le nostre indagini per capirne di più”.  

“Se fossero embolie che migrano, si disperderebbero a caso – è stato il ragionamento dei ricercatori – Anzi, andrebbero lontano dalle zone ad interessamento infiammatorio dove, essendo ‘vasocostrette’, arriva meno sangue e quindi sarebbe più difficile raggiungerle. Invece le trombosi le abbiamo trovate proprio lì. Questo ci ha fatto fare il salto logico: non sono tromboembolie polmonari come tantissimi pensano ancora, ma sono episodi trombotici che cominciano proprio a livello polmonare. E’ come se andassero in modo retrogrado: non arrivano da lontano, ma nascono e si ingrandiscono lì a seguito del processo infiammatorio che scatena a sua volta un processo coagulativo”, dice il ricercatore.  

Una scelta “non scontata”, a pandemia in corso, quella di cominciare a fare tante Tac, puntualizza. “Eppure ha pagato – assicura – Questo esame storicamente non forniva tante informazioni aggiuntive rispetto alla clinica e alle lastre toraciche e pone non pochi problemi trasportare pazienti critici fino alle macchine contaminando passaggi. A meno a che non ci si organizza proprio per farli direttamente in loco. E qui viene in soccorso la Pallaria dei Ferragnez, pensata ad hoc. La metà degli esami di questo tipo eseguiti è stata fatta grazie a questa struttura”. 

“Alcuni editor e revisori senior super esperti ci hanno detto di aver visto da giovani casi di sindromi da distress respiratorio acuto in cui sembravano esserci dei fenomeni coagulativi che arrivavano dalle zone di infiammazione polmonare. Noi abbiamo ritenuto importante evidenziare questo fenomeno e rivitalizzare questa osservazione proprio per le implicazioni terapeutiche che può avere sul fronte Covid-19”, ragiona Landoni. “Alla luce di questi dati, infatti, in determinati pazienti solitamente ospedalizzati è buona cosa prevenire le trombosi con una profilassi anti trombotica, che vuol dire usare l’eparina, e farmaci immunosoppressivi, quindi cortisone, perché queste sono trombosi infiammatorie”.  

E va prestata attenzione a questo aspetto. “Bisogna cercarle le trombosi e intervenire con i trattamenti. Oggi è diventato molto più comune fare Tac ai malati Sars, rispetto a prima. Ritengo che questo tipo di analisi scientifiche aiuti a migliorare la comprensione di questa malattia – conclude – E’ stato un lavoro che abbiamo condotto con apporto multidisciplinare e con tanti protagonisti: ci sono i radiologi che sono le prime firme di questo lavoro, gli immunologi ed ematologi che hanno pensato a un modello di fisiopatologia che somigliava a quello di alcune loro malattie, gli internisti che sono i medici più dotti del mondo, ci siamo noi rianimatori che abbiamo ci occupiamo di questi pazienti critici (come autore senior figura il prorettore dell’università Vita-Salute Alberto Zangrillo, ndr), gli infettivologi. E’ stato veramente un lavoro di squadra, contro un nemico complesso”.