Una stanchezza estrema che non passa, ma anche affanno o dolore alle articolazioni. Sono alcuni dei sintomi della cosiddetta sindrome post-Covid-19, che continua a tormentare la maggioranza dei ‘reduci’ dal coronavirus Sars-CoV-2 per settimane, se non addirittura per mesi dopo la guarigione. Una research letter appena pubblicata su ‘Jama’ da un gruppo di geriatri della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs e dell’Università Cattolica, campus di Roma, fa il punto della situazione e chiarisce quali sono i sintomi più frequenti e persistenti. 

Lo studio, firmato da Angelo Carfì, Uoc Continuità assistenziale Policlinico Gemelli, Francesco Landi, docente di Medicina interna e geriatria all’Università Cattolica, e Roberto Bernabei, ordinario Medicina interna e geriatria all’Università Cattolica e direttore Dipartimento Scienze dell’invecchiamento, neurologiche e della testa–collo del Policlinico Gemelli, è stato condotto presso il Day Hospital post-Covid della Fondazione Policlinico Gemelli dal 21 aprile scorso.  

Su 143 pazienti, seguiti fino alla fine di maggio, a distanza di oltre 2 mesi dalla diagnosi di Covid-19, solo 1 su 10 non presentava sintomi correlabili alla malattia iniziale. La maggior parte (87%) riferiva infatti la persistenza di almeno un sintomo, soprattutto stanchezza intensa (53,1%) e affanno (43,4%). Il 27,3% lamentava dolore alle articolazioni e uno su 5 dolore toracico. La qualità di vita, valutata con apposite scale, è risultata infine peggiorata in tutti i pazienti.  

E allora cosa fare? “Il messaggio importante – afferma Landi, responsabile del Day Hospital post-Covid – è che tutti i pazienti che hanno avuto Covid-19 e soprattutto quelli colpiti dalle forme più gravi, che hanno richiesto un ricovero in rianimazione o che hanno avuto bisogno di ossigenoterapia, devono essere sottoposti a controlli multi-organo nel tempo. Inoltre devono essere valutati attentamente rispetto alla persistenza di alcuni sintomi. Questo perché – sottolinea – siamo di fronte a una malattia nuova, sconosciuta ed è quindi importante cercare di individuare gli eventuali danni a breve o a lungo termine”.  

“Per fortuna – prosegue l’esperto – la maggior parte dei pazienti non presenta quei danni d’organo che temevano a livello di polmoni, occhi, cuore, fegato. Quello che stiamo riscontrando è invece una frequente persistenza di sintomi, anche soggettivi come quello della ‘stanchezza’, che meritano di essere presi in considerazione. Questo è importante per individuare e al tempo stesso supportare questi pazienti con un programma di ‘rieducazione’ fatto di ginnastica supervisionata, educazione alimentare e tutto quanto già contenuto nel progetto Sprintt (Sarcopenia and Physical Railty IN older people: multi-componenT Treatment strategies) di cui Gemelli e Università Cattolica sono capofila. Si tratta di un progetto europeo nato alcuni anni fa per contrastare la disabilità negli anziani, che abbiamo adattato con successo a questi pazienti”.  

Un protocollo di esercizi modulabile sui singoli soggetti. “Importante anche la gestione dei disturbi della sfera psichica di questi pazienti, molti dei quali (fino al 20%) presentano un vero e proprio disturbo post-traumatico da stress – evidenzia Landi – Fondamentale, infine, ripristinare una corretta alimentazione: molti pazienti presentano ancora disturbi dell’appetito, altri hanno una franca perdita di massa muscolare (sarcopenia)”. 

I sintomi della fase acuta dell’infezione da nuovo coronavirus comprendono tosse, febbre, dispnea, sintomi muscolo scheletrici (mialgie, dolori articolari, fatigue), sintomi gastrointestinali, disturbi dell’olfatto e del gusto. Molto meno note sono a tutt’oggi le sequele a lungo termine della malattia. Ma come dimostra il lavoro appena pubblicato su Jama, sono tutt’altro che rare e soprattutto invalidanti. 

E’ l’assoluta mancanza di forze a preoccupare gli ex-pazienti: alcuni non riescono a fare neppure un piano di scale, altri dormirebbero tutto il giorno. Sembra un’epidemia di sindrome da stanchezza cronica e nessuno sa dire al momento quanto è destinata a persistere, ammoniscono i ricercatori. I pazienti sono debilitati; qualcuno fa fatica a respirare perché i muscoli della respirazione non hanno la forza sufficiente a svolgere la loro funzione. In queste condizioni, anche alzarsi dal letto richiede uno sforzo titanico. E c’è chi confessa di aver pensato di avere una malattia mentale, finché non si è confrontato con persone che provavano i suoi stessi disturbi. All’estero sono addirittura nati dei gruppi di auto-sostegno. Gli ‘ex-Covid’ richiedono supporto, sia a livello fisico che psicologico per accompagnare la loro lunga convalescenza. E la sindrome post-Covid non risparmia nessuna età. 

Molti guariti, anche a distanza di settimane dalla dimissione, continuano a non stare bene. Al punto di non riuscire a riannodare i fili del discorso con la vita di prima, quella sociale, come quella lavorativa. E non sorprende. Covid-19 è una malattia nuova, un ‘work in progress’ di conoscenze che si costruisce giorno per giorno, osservano gli esperti. Proprio per conoscerla meglio sono nati i Day Hospital post-Covid, come quello della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs.  

Qui un team multidisciplinare si occupa dei ‘reduci’ di Covid. Internisti, geriatri, gastroenterologi, infettivologi, pneumologi, microbiologi, neurologi, oculisti, otorini, pediatri, psichiatri, radiologi, reumatologi, angiologi (coordinati dai professori Roberto Bernabei, Massimo Fantoni e Antonio Gasbarrini e sotto la direzione dei professori Francesco Landi ed Elisa Gremese) lavorano per sconoscere meglio gli effetti sull’organismo di questa patologia e soprattutto per aiutare questi pazienti a superare davvero Covid-19.