Il Messaggero

Iniziò tutto da Milano. Ecco perchè Starbucks non vuole "insegnarci a fare il caffè"

Molti italiani si sono sentiti “feriti nell’orgoglio” di fronte all’arrivo di Starbucks a Milano. “Volete insegnarci a fare il caffè?” hanno chiesto ironicamente. “No, vogliamo farvi vedere cosa abbiamo imparato”, risponde l’azienda. Da Milano tutto iniziò, negli anni ’80: Howard Schultz, che sarebbe diventato il papà di Starbucks qualche anno dopo, durante un viaggio di lavoro nel capoluogo lombardo entrò in contatto con la realtà del bar come punto d’incontro e si mise in testa di riproporlo anche in America.

Oggi la sua “creatura” (lui si è dimesso da Presidente nel giugno del 2018) vende 4 miliardi di tazze di caffè all’anno: allineandole, sarebbero 35 volte più lunghe della Muraglia Cinese. E’ presente in oltre 70 Paesi, con 27.399 mila punti vendita totali a inizio 2018.

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I caffè di Starbucks fanno sul serio

Se vi metteste d’impegno per provare ogni combinazione possibile del menù di Starbucks, vi ci vorrebbe forse una vita intera di consumazioni: le varianti sono circa 87mila. I caffè di Starbucks, come d’altronde tutti i caffè americani, a noi italiani sembrano “acqua”, ma in realtà contengono moltissima caffeina: circa 330 mg. Anche il cibo non scherza in quanto a calorie: panini e dolci si aggirano tutti, in media, fra le 400 e le 500 Kcal. Un doppio cheeseburger di McDonald’s ne fa 430.

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Curiosità

Alcuni Starbucks sono in incognito: hanno aperto con altri nomi, per testare novità senza che i clienti fossero influenzati dal brand. Ce ne sono diversi a Seattle, uno a New York e chissà quanti altri. I gremibiuli dei dipendenti sono personalizzati: contengono una scritta motivazionale all’interno, che può vedere solo il dipendente quando la indossa (“Creiamo momenti di ispirazione nelle giornate di ogni nostro cliente” e ancora “anticipa, connettiti, personalizza, possiedi”).

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Starbucks di Milano, unico nel suo genere

Nello Starbucks di Milano niente frappuccino, una delle bevande più iconiche della catena di caffetteria: perchè? La spiegazione ufficiale è che si tratta di una bevanda troppo distante dalla tradizione italiana, che sta molto a cuore al fondatore Schultz. Non aspettatevi quindi una replica degli Starbucks disseminati nelle grandi città americane: a Milano, in piazza Cordusio, lo Starbucks è molto più chic, non ha in menù il frappuccino e i muffin, i bicchieri non sono verdi e non hanno scritto il vostro nome con il pennarello

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Teorie del complotto

Non potevano mancare le teorie del complotto, vero divertissement del nostro tempo: una sostiene che la sit come Friends -con il suo Central Perk- sia stata creata esclusivamente per promuovere Starbucks, inducendo i giovani a considerare luogo di ritrovo la caffetteria invece che il pub. Un’altra, meno strampalata, asserisce che i baristi sbaglino di proposito lo spelling dei nomi sui bicchieri, per fare in modo di creare contenuti virali sui social: o forse servono ad altissima velocità clienti provenienti da ogni parte del mondo?

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