35 anni prima della scoperta ufficiale del “Gruppo di Oxford” capeggiato da Fleming, un italiano analizzava le muffe nel pozzo della casa di uno zio ad Arzano, in provincia di Napoli, e scopriva che guarivano dalle malattie. Oggi i suoi nipoti si battono perchè siano riconosciuti i meriti di questo grande scienziato italiano

Nel 1929 Alexander Fleming annunciava al Medical Research Club i risultati dei suoi studi sulle muffe: dopo anni di studi condotti insieme al cosiddetto Gruppo di Oxford (del quale faceva parte l’australiano Howard Florey e l’ebreo tedesco Ernst Chain) e dopo aver sperimentato l’efficacia di quel primo antibiotico sui militari feriti durante la seconda guerra mondiale, nel 1945 lo scienziato venne insignito -insieme ai colleghi-  del premio Nobel per la medicina e la fisiologia.

Vincenzo Tiberio penicellina scoperta 35 anni prima, grazie ad un pozzo

C’è stato però un italiano che, già nel 1895, aveva scoperto le caratteristiche delle muffe e le aveva studiate per trarne un farmaco: si chiamava Vincenzo Tiberio e aveva pubblicato in quell’anno osservazioni molto precise sul potere battericida delle muffe sulla rivista Annali di Igiene Sperimentale.

Tutto nasceva dall’osservazione di alcune muffe che proliferavano in un pozzo ad uso domestico, nella casa degli zii ad Arzano (Napoli), dove lo studioso era ospite mentre studiava Medicina alla Facoltà di Napoli. Tiberio notava che quando il pozzo veniva ripulito dalle muffe, tutte le persone in casa venivano colpite da infezioni intestinali, che cessavano non appena le muffe ricomparivano.

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Tiberio lavorò sulle muffe, analizzandole presso il laboratorio della sua Università, e riuscì a trarne un siero che iniettò a dei topi malati: quando vide che la cavie guarirono, decise di presentare la sua scoperta al mondo accademico. Nel 1895, dopo la laurea, pubblicò la sua ricerca “Sugli estratti di alcune muffe” negli Annali di Igiene sperimentale, una delle più importanti riviste scientifiche italiane dell’epoca.

Purtroppo le conclusioni a cui era giunto Tiberio non vennero prese in considerazione e derubricate come coincidenze: all’epoca l’Italia era poco influente nel panorama delle scienze e nessuno si prese la briga di approfondire e rilanciare la scoperta, che venne lasciata a languire nell’archivio della rivista.

Sconfortato, Tiberio lasciò il mondo accademico ed entrò in Marina, dove raggiunse il grado di Maggiore e fra l’altro continuò a mettere il suo genio al servizio della salute, compiendo da ufficiale medico importanti scoperte sull’importanza dell’alimentazione dei marinai e della ventilazione nelle navi. Morì a 46 anni, stroncato precocemente da un infarto.

Vincenzo Tiberio e la penicellina, la battaglia dei nipoti

Oggi i nipoti di Tiberio si battono perchè venga riconosciuta l’importanza del loro avo nel panorama della medicina mondiale, visto che in vita non gli è stato riconosciuto il giusto merito e neanche dopo la morte. Secondo Anna Zuppa-Covelli, ci sarebbero le prove che gli studi di Tiberio fossero arrivati anche al dottor Fleming: “Mio padre, il prof. Armando Zuppa (il primo radiologo a utilizzare i raggi X per rallentare lo sviluppo delle cellule tumorali n.d.r.) annotava tutto quello che, nel dopoguerra, veniva fuori sulla questione del nonno. Ho trovato un suo appunto in cui si cita il fatto che in una puntata de “La Voce”, una trasmissione radio del 1946, il dottor Chain ammise pubblicamente di aver letto gli studi di Vincenzo Tiberio

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Nell’intervista a La Stampa da cui è tratto questo virgolettato, la signora Zuppa-Covelli chiede l’aiuto degli Archivi Rai per recuperare la puntata e accertare che il “Gruppo di Oxford” si fosse basato sulle scoperte del dottor Tiberio per arrivare a sviluppare l’antibiotico.

“Molti pensano che noi cerchiamo di propagandare la scoperta di nostro nonno per trarne benefici economici. Dei soldi non ce ne importa assolutamente nulla.- chiarisce nella stessa intervista un altro nipote di Tiberio, Giulio Capone- Quello cui davvero terremmo è che le Istituzioni italiane riconoscessero pubblicamente la scoperta di Vincenzo Tiberio e dessero adeguato risalto alla sua figura anche a livello internazionale, come già avvenuto per Meucci che tutti conoscono, oggi, come il primo inventore del telefono

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