Tuo figlio gioca o va sui social con il tuo cellulare? Attenta mamma, ecco cosa potrebbe succedere. Tanti soldi persi in pochi minuti. La storia di molte famiglie e dell’uso dei propri bambini con videogiochi presenti su Facebook: cosa è successo

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Sempre più bambini utilizzano ormai lo smartphone e spesso sono gli stessi genitori a concedere il proprio o a comprargliene uno. Le attività in cui si prodigano i più piccoli con il telefono cellulare sono essenzialmente il gioco e la navigazione su Internet alla ricerca di video e videogames.

Ma l’utilizzo dello smartphone da parte dei bambini senza adeguata supervisione può nascondere molte insidie, anche di tipo economico: il ragazzino magari accede a delle app convinto di sperimentare un nuovo gioco e invece spende soldi, cifre anche molto rilevanti.

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Ed è esattamente quello che qualche anno fa è successo con la prima versione di Angry Birds, noto gioco disponibile sulla piattaforma Facebook: mentre gli ignari giocatori si dilettavano a giocare, spendevano inconsapevolmente denaro, convinti che le transazioni che effettuavano avvenissero con valute fittizie e non con dollari veri.

Se ne sono accorti diversi genitori negli Usa e hanno fatto causa al colosso di Mark Zuckerberg perché si è rifiutato di rimborsare le spese effettuate dai propri figli senza la loro autorizzazione.

La vicenda giudiziaria è iniziata nel 2012 e oggi un Tribunale federale americano sarebbe in possesso di documenti che dimostrerebbero le presunte responsabilità di Facebook. In particolare, grazie a un’inchiesta del centro giornalistico Reveal, sarebbe emerso che molti dipendenti del social network fossero a conoscenza che i minori – i giocatori avrebbero avuto una età media di 5 anni – stessero spendendo involontariamente soldi utilizzando i videogiochi disponibili sulla piattaforma, ovviamente senza l’autorizzazione dei genitori.

Facebook ha chiesto al Tribunale di non rivelare i contenuti dei documenti in suo possesso perché contenenti dati sensibili, ma la Corte ha rigettato la richiesta, ritenendo che si tratta di informazioni “di grande interesse pubblico”.

Intanto, dopo il 2012, Facebook è corso ai ripari e ha modificato le politiche sui rimborsi.

(foto @shutterstock)