Trapianti, al Bambino Gesù primo fegato diviso con mix tecnologico  

Primo trapianto di fegato ‘diviso’ grazie all’uso di una macchina di perfusione epatica. A realizzare l’intervento i chirurghi dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, il lavoro è stato pubblicato sulla rivista ‘Liver Transplantation’. Il fegato del donatore è stato mantenuto ‘in salute’ grazie all’uso dell’apparecchiatura di perfusione ed è stato diviso dai chirurghi con la tecnica ‘split liver’ (l’organo è separato in due parti, di cui la più piccola viene trapiantata a un bambino e l’altra a un ragazzo o un adulto). “Si tratta del primo caso al mondo riportato nella letteratura scientifica in cui questa apparecchiatura è stata utilizzata in combinazione con la tecnica dello ‘split liver'”, sottolinea in una nota il Bambino Gesù.  

I chirurghi del Bambino Gesù “hanno utilizzato la macchina di perfusione per dividere in ospedale un fegato prelevato fuori Italia, dove non avrebbero potuto effettuare lo ‘split’, e realizzare così due trapianti contemporanei – prosegue l’ospedale – Senza l’apporto del macchinario, visti i tempi di ischemia molto lunghi, ci sarebbero stati maggiori rischi di malfunzionamento degli organi trapiantati. In uno dei due riceventi, il fegato è stato trapiantato dopo 16 ore di conservazione, quando normalmente il tempo massimo è di 8-10 ore”.  

La macchina di perfusione extracorporea per gli organi destinati a trapianto “rappresenta una tecnologia emergente degli ultimi anni. Viene frequentemente utilizzata nel trapianto di organi interi (fegato, rene, polmoni e cuore) in pazienti adulti. Consente – ricordano gli esperti del Bambino Gesù – di conservare in maniera più efficace gli organi rispetto alla modalità classica precedentemente utilizzata. Invece di immergere l’organo nella soluzione di conservazione e ghiaccio, viene collegato alla macchina che fa circolare al suo interno la soluzione di conservazione fredda a cui viene aggiunto l’ossigeno (perfusione ipotermica) oppure sangue ossigenato (perfusione normotermica)”.  

“Questa tecnica consente di prolungare i tempi di ischemia, cioè l’intervallo durante il quale l’organo rimane al di fuori dell’organismo. Permette inoltre di migliorare la conservazione dell’organo riducendo il danno cellulare e di valutarne durante la perfusione la capacità di funzionare una volta trapiantato. In prospettiva, durante la perfusione sarà possibile ‘modificare’ l’organo, rendendolo ad esempio più compatibile dal punto di vista immunologico”, aggiungono.  

“L’uso di questa metodica ha permesso di aumentare il numero degli interventi perché consente di trapiantare con maggiore sicurezza organi che altrimenti non verrebbero utilizzati: organi prelevati da donatori a cuore non battente, organi da donatori di età avanzata, organi prelevati in sedi molto lontane dal centro trapianti”, precisano i chirurghi. Il Bambino Gesù si è dotato del macchinario dedicato al fegato nell’autunno del 2018. “Oltre che per i casi clinici, viene utilizzato per un progetto di ricerca preclinico condotto dall’unità operativa di chirurgia eptaobilio-pancreatica diretta da Marco Spada – conclude la nota – e sostenuto dall’associazione nazionale italiana bambini epatopatici cronici (Anibec). Ne esistono versioni per diversi organi. Al Bambino Gesù, oltre a quello per il fegato, ce n’è anche uno per il rene, mentre arriverà a breve quello per la conservazione dei polmoni”.