Se anche una piccola parte della popolazione non rispetta le regole comportamentali contro la diffusione del coronavirus, o le rispetta in misura proporzionalmente ridotta rispetto agli altri, le misure di contenimento possono essere inefficaci o addirittura controproducenti. E’ quanto emerge da uno studio, basato su un modello matematico, condotto da ricercatori dell’Università di Siena, pubblicato su ‘Plos One’, che ha dimostrato l’influenza del tessuto sociale e l’importanza del rispetto omogeneo delle prescrizioni anti-Covid-19. 

Il gruppo di ricerca, coordinato da Paolo Pin, docente del dipartimento di Economia politica e statistica dell’ateneo, è partito dall’analisi delle politiche di contenimento messe in campo, sulla base di un modello matematico coadiuvato da un sondaggio internazionale dello scorso aprile, e arricchito il modello base dell’epidemiologia Ssi, che misura il fattore di propagazione della malattia, con l’analisi degli aspetti sociali, i network e il numero di contatti tra le persone. Hanno utilizzato per il loro modello i “big data”, i numerosissimi dati che quotidianamente generiamo con le nostre attività online o con l’uso del telefono cellulare su mobilità e spostamenti. 

“Il nostro studio – spiegano gli autori – ha mostrato che l’adesione degli individui alle prescrizioni e in particolare la riduzione dell’attività sociale potrebbe non essere efficace se non attuata in modo omogeneo da tutti i gruppi sociali, specialmente da quelli caratterizzati da intensi contatti. Infatti, se coloro che hanno molti contatti li riducono proporzionalmente di meno rispetto a quelli che ne hanno pochi, l’effetto della politica di contenimento potrebbe addirittura ritorcersi contro: la malattia richiederebbe più tempo per estinguersi, fino al punto di diventare endemica. In poche parole, a meno che si riesca a indurre tutti ad agire in modo conforme, in particolare le persone con più contatti, le misure messe in atto possono persino essere controproducenti”, concludono.